Anticorpi monoclonali
Palù li preferisce al vaccino: “Guariscono dal Covid in 48 ore”
Roma, 10 nov – «Si parla tanto del vaccino, ma c‘è già la cura a base di anticorpi monoclonali. Il Regeneron è una combinazione di tre monoclonali che ha curato Trump in 48 ore. Berlusconi è guarito col Remdesivir, l’eparina e il cortisone. Il problema dei monoclonali, al momento, è che non vengono prodotti in grande quantità, ma hanno dimostrato che questo virus dà l’immunità»
Il virologo Giorgio Palù ne è convinto e lo ribadisce oggi su Libero: più che al vaccino contro il coronavirus, lo sguardo va rivolto alla produzione di anticorpi monoclonali, di comprovata efficacia – guariscono in due giorni – e privi di quelle incognite che ancora avvolgono la produzione e il testing dei vaccini. E a proposito di immunità: gli studi di sieroprevalenza, ricorda, dimostrano «che nella Bergamasca si è sviluppata una certa immunità, e che là il 45% della popolazione ha sviluppato gli anticorpi».
E pure non se ne parla e non si fa in modo di produrne per tutta
la popolazione. Ma li producono solo per pochi eletti.
Ecco perché noi vediamo che tutti quelli famosi ed importanti stanno
tranquilli, tanto se si infettano, come abbiamo visto tutti "Ronaldo,
Berlusconi, Zingaretti, Tramp, Tantissimi Calciatori, Personaggi dello
spettacolo ecc..." guariscono in due o tre giorni, mentre la povera gente
rimane per mesi in ospedale o in terapia intensiva.
TopGan commentata il 19/12/2020 07:51:53:
L’anticorpo monoclonale fatto in Italia che noi non usiamo. Prodotto a Latina, poteva curare (gratis) 10mila malati. I burocrati lo lasciano agli Usa Diecimila italiani potevano guarire subito, come tanti Donald Trump. Invece, aspettando un vaccino, l’Italia va incontro alla terza ondata Covid senza terapie a base di anticorpi monoclonali, quelli che in tre giorni neutralizzano il virus evitando il ricovero. Da uno stabilimento di Latina in realtà escono furgoni carichi di questi farmaci, ma sono destinati a salvare pazienti americani, non gli italiani. Ai quali, per altro, erano stati offerti a titolo gratuito già due mesi fa. È il paradosso di una storia che ha pesanti risvolti sanitari, politici ed etici. “Abbiamo ‘pallottole’ specifiche contro il virus. Possono salvare migliaia di pazienti, evitare ricoveri e contagi, ma decidiamo di non spararle. Non si spiega”, ripete da giorni Massimo Clementi, virologo del San Raffaele di Milano. Racconta che i colleghi negli Stati Uniti da alcune settimane somministrano gli anticorpi neutralizzanti come terapia e profilassi per malati Covid. La stessa cura che ha salvato la vita a Donald Trump in pochi giorni, nonostante l’età e il sovrappeso: “Dopo 2-3 giorni guariscono senza effetti collaterali apparenti”. Il tutto a 1000 euro circa per un trattamento completo, contro gli 850 euro di un ricovero giornaliero. Gli Stati Uniti ne hanno acquistato 950mila dosi, seguiti da Canada e – notizia di ieri – Germania. Non l’Italia, dove si producono. Il nostro Paese ha investito su un monoclonale made in Italy promettente ma disponibile solo fra 4-6 mesi. Scienziati molto pragmatici si chiedono perché, nel frattempo, non si usino i farmaci che già si dimostrano efficaci altrove: fin da ottobre – si scopre ora – era stata data all’Italia la possibilità di usare questi anticorpi attraverso un cosiddetto “trial clinico”, nel quale 10mila dosi del farmaco sarebbero state proposte a titolo a gratuito. Una mano dal cielo misteriosamente respinta mentre il Paese precipitava nella seconda ondata. Il farmaco – bamlanivimab o Cov555 – è stato sviluppato dalla multinazionale americana Eli Lilly. La sua efficacia nel ridurre carica virale, sintomi e rischio di ricovero è dimostrata da uno studio di Fase2 randomizzato (la fase 3 è in corso) condotto negli USA. I risultati sono stati illustrati sul prestigioso New England Journal of Medicine. Dall’headquarter di Sesto Fiorentino spiegano che l’anticorpo è stato messo in produzione prima ancora che finisse la sperimentazione perché fosse disponibile su scala globale il prima possibile. Dal 9 novembre, quando l’FDA ne ha autorizzato l’uso di emergenza, gli Stati Uniti hanno acquistato quasi un milione di dosi. In Europa si aspetta il via libera dell’Ema che non autorizza medicinali in fase di sviluppo. Una direttiva europea del 2001 consente, però, ai singoli Paesi EU di procedere all’acquisto e la Germania ieri ha completato la procedura per autorizzarlo. A breve toccherà all’Ungheria. E l’Italia? Aspetta. Avendo il suo cuore europeo alle porte di Firenze, finito lo studio la società di Indianapolis ha preso contatto con le autorità sanitarie e politiche nazionali, anche italiane. Il 29 ottobre riunione con l’Aifa: collegati, tra gli altri, Gianni Rezza per il Ministero della Salute; Giuseppe Ippolito del Cts e direttore dello Spallanzani di Roma; il professor Guido Silvestri, virologo alla Emory University di Atlanta che aveva favorito il contatto con Eli Lilly. Sul tavolo, la possibilità di avviare in Italia la sperimentazione con almeno 10mila dosi gratis del farmaco che negli USA ha dimostrato di ridurre i rischi di ospedalizzazione dal 72 al 90%. In quel contesto viene anche chiarito che non sarebbe stato un favore alla multinazionale, al contrario: una volta che l’FDA l’avesse autorizzato, sarebbero partite richieste da altri Paesi. L’occasione, da cogliere al volo, cade nel vuoto, forse per una rigida adesione alle regole di AIFA ed EMA
TopGan commentata il 19/12/2020 07:52:03:
che non hanno però fermato la rigorosa Germania. Altra ipotesi: l’offerta è stata lasciata cadere per una scelta già fatta a monte. Sui monoclonali da marzo il Governo ha investito 380 milioni per un progetto tutto italiano che fa capo alla fondazione Toscana Life Sciences (TLS), ente non profit di Siena, in collaborazione con lo Spallanzani e diretto dal luminare Rino Rappuoli. La sperimentazione clinica deve ancora partire e la produzione, salvo intoppi, inizierà solo a primavera 2021. A quanto risulta al Fatto, l’operazione con Eli Lilly, che già due mesi fa avrebbe permesso di salvare migliaia di persone, non sarebbe andata in porto per l’atteggiamento critico verso questi anticorpi del direttore dello Spallanzani che lavorerà al progetto senese. “Non so perché sia andata così, dovete chiedere ad AIFA”, taglia corto il direttore Giuseppe Ippolito, negando un conflitto di interessi: “Non prescrivo farmaci, mi occupo solo di scienza”.
TopGan commentata il 19/12/2020 07:53:14:
Quando l’FDA autorizza il farmaco, la multinazionale non può più proporre il trial gratuito ma deve attenersi al prezzo della casa madre. Per assurdo, sfumata l’opzione a costo zero, l’Italia esprime una manifestazione ufficiale di interesse all’acquisto. Il negoziato va in scena il 16 novembre alla presenza di Arcuri, del DG dell’Aifa Magrini e del ministro della Salute Speranza. Si parla di prezzo e di dosi ma il negoziato si ferma lì e non va avanti. Neppure quando il sindaco di Firenze torna alla carica. Dario Nardella annuncia ai giornali di aver parlato coi vertici di Eli Lilly e che “se c’è l’ok della Commissione Ue, la distribuzione del farmaco a base di anticorpi monoclonali potrebbe cominciare dopo Natale non solo in Francia, Spagna e Regno Unito ma anche in Italia”. Natale è alle porte e in Italia non c’è traccia di farmaci anticorpali né si ha notizia di una pressione dell’Aifa per sollecitare l’omologa agenzia europea. Come se l’opzione terapeutica per pazienti in lotta col virus, già disponibile altrove, non interessasse. L’AIFA e la struttura di Arcuri – sentite dal Fatto – ribadiscono: finché non c’è l’autorizzazione EMA non si va avanti. Di troppa prudenza si può anche morire, rispondono gli scienziati. “Io avrei accelerato”, dice chiaro e tondo il consulente del ministro Walter Ricciardi, presente alla riunione un mese fa: “Con tanti morti e ospedalizzati valutare presto tutte le terapie disponibili è un imperativo etico e morale”. Il virologo Silvestri, che tanto aveva spinto: “Non capisco cosa stia bloccando l’introduzione degli anticorpi di Lilly e/o Regeneron, che qui negli States usiamo con risultati molto incoraggianti”. Ieri sera si è aggiunta anche la voce critica dell’immunologa dell’università di Padova Antonella Viola: “E’ sorprendente questo ritardo, cosa aspettiamo?”. Per il professor Clementi, siamo al paradosso. “È importante trovare il miglior farmaco possibile, ma non possiamo scartare a priori una possibilità terapeutica che altrove salva le persone. Una fiala costa poco più di un giorno di ricovero e ogni risorsa che risparmi la puoi usare per altro. Tenere nel fodero un’arma che si dimostra decisiva è incomprensibile. Da qui, la mia sollecitazione all’AIFA”. Certo, una soluzione al 100% italiana garantirebbe autosufficienza e prelazione nell’approvvigionamento. Da Sesto Fiorentino, però, rispondono che il loro farmaco, oltre ai benefici in termini di salute e risparmio, avrebbe avuto anche ricadute economiche per l’Italia: nella produzione è coinvolto un fornitore italiano, la Latina BSP Pharmaceutical. “Se andrà bene potremmo distribuirlo non solo negli Usa ma anche in Italia”, esultava a marzo il titolare dell’impresa pontina, Aldo Braca. Nove mesi dopo dallo stabilimento di Latina esce il farmaco più promettente contro il Covid. Ma va soltanto all’estero.
TopGan commentata il 26/12/2020 07:37:11:
Covid, al via test su un farmaco che garantirebbe immunità immediata Gli scienziati britannici hanno avviato i test su un anticorpo monoclonale in grado di impedire al virus Sars-CoV-2 di innescare il Covid: potrebbe essere utilizzato su soggetti a rischio Dopo quello per i vaccini, è iniziata la corsa finale per mettere a punto un farmaco in grado di sconfiggere il Covid. Gli scienziati britannici hanno avviato i test su un farmaco in grado di evitare che un soggetto esposto al coronavirus Sars-CoV-2 sviluppi la malattia innescata dal virus. Il farmaco, secondo quanto riportato dal quotidiano britannico Guardian, sarebbe in grado di garantire una immunità immediata. La terapia — basata sugli anticorpi monoclonali — potrebbe garantire un'immunità di 6-12 mesi e potrebbe essere somministrata come trattamento di emergenza a gruppi a rischio, come pazienti ricoverati in ospedale o ospiti di case di riposo e cura, per evitare la nascita di focolai e il coinvolgimento di soggetti fragili. Il farmaco potrebbe essere somministrato anche a persone che vivono in famiglie nelle quali qualcuno ha contratto il virus. Lo studio sul farmaco è guidato dalla professoressa Catherine Houlihan, virologa presso l'University College London Hospitals NHS Trust (UCLH). «Se riuscissimo a dimostrare che questo trattamento funziona e può evitare che le persone esposte al virus arrivino a sviluppare il Covid-19, si aggiungerebbe un ulteriore elemento all'arsenale di armi che viene sviluppato per combattere questo terribile virus». Il farmaco è stato sviluppato da UCLH e AstraZeneca, la società farmaceutica che, insieme all'Università di Oxford, ha anche creato uno dei vaccini che saranno utilizzati contro il coronavirus (il cui utilizzo dovrebbe essere presto approvato dall'Autorità per il farmaco britannica e, in seguito, da quella europea). Il farmaco potrebbe essere disponibile per marzo o aprile se venisse approvato al termine dei trials, che riguardano una rete di 100 siti in tutto il mondo.
TopGan commentata il 26/12/2020 07:37:29:
I 5 anticorpi monoclonali allo studio Come indicato da Sandro Modeo in questo saggio sul «Corriere», gli anticorpi monoclonali «sono l’elaborazione ingegnerizzata di anticorpi naturali prodotti dal sistema immunitario dei pazienti contro l’invasione di uno specifico patogeno o un altro agente esterno all’organismo (per esempio una crescita tumorale). Dove l’elaborazione consiste nel scegliere i più efficaci (per ogni «invasore» ci sono molti anticorpi attivi, come tante chiavi per una serratura, ma di diversa precisione) e farli replicare per esercitare l’azione di difesa». I farmaci basati sugli anticorpi monoclonali potrebbero garantire un'immunità immediata, appunto: al contrario di quanto avviene con i vaccini (che necessitano, per offrire una immunità completa, di due dosi). I farmaci più promettenti sono cinque, al momento: oltre a quello di AstraZeneca, ci sono quello di Regeneron (Regn-Cov2) somministrato al presidente degli Stati Uniti Donald Trump e costruito con un cocktail di 2 anticorpi monoclonali (qui la spiegazione di Cristina Marrone); quello di Ely Lilly; quello del Monoclonal Antibody Discovery Lab di Fondazione Toscana Life Sciences (Siena), individuato sotto la supervisione di Rino Rappuoli (i cui trials sono iniziati da poco e l’approvazione-commercializzazione è attesa per marzo: ne parlava qui, in un articolo di Laura Cuppini); e quello della Prometheus di Karlik Chandran (Albert Einstein College of Medicine di NY). La difficoltà principale per questo tipo di farmaci è legata ai costi, molto elevati: ma potrebbero essere decisivi nell'«arsenale» contro il virus, insieme ai vaccini e alle misure di profilassi (distanziamento, mascherina, igiene).
TopGan commentata il 27/12/2020 07:14:11:
Ilaria Capua dice: Una terapia che però è impensabile usare per tutti, giusto? “È una terapia efficace se si fa entro un certo periodo: l’anticorpo monoclonale blocca la replicazione del virus, quindi se una persona sta già male e il virus ha fatto i suoi danni, non serve più. Sono delle proteine di sintesi, degli anticorpi fatti in laboratorio che però si producono in volumi bassissimi e dunque hanno un costo molto alto. Non è pensabile che questo sia il farmaco che possa essere dato a tutti per girare liberamente. Magari fosse così! È un trattamento che non si riesce a produrre in grandi quantità, è come la pappa reale, che è l’alimento destinato all’ape regina. Ne abbiamo visto gli effetti su Donald Trump, la cui cura è costata centinaia di migliaia di dollari”.